
Il lancio del formaggio: sport, svago folcloristico o tradimento della tradizione?

La Pro Loco di Morbegno ha recentemente annunciato l'affiliazione alla FIGeST – Federazione Italiana Giochi e Sport Tradizionali – con l'obiettivo di organizzare una gara di lancio della forma di formaggio. Un'iniziativa che suscita curiosità, ma anche qualche perplessità: fino a che punto si può trasformare un prodotto simbolo del territorio in oggetto di competizione senza snaturarne il valore?
Da secoli, il cibo in Italia è molto più che nutrimento: è rito, racconto, identità. Nelle sagre, nei cortili, nelle piazze, i giochi legati agli alimenti sono spesso parte di tradizioni antiche, dove il divertimento convive con la memoria del lavoro e della fatica.
In Toscana, ad esempio, il panforte diventa protagonista del gioco della "capanna", lanciato su lunghi tavoli di osteria fino a raggiungere il bordo senza cadere.
In Liguria, a Monterosso, il gioco delle noci — risalente all'epoca romana — permette di guadagnare scorte preziose attraverso una sfida semplice ma sentita.
In Friuli, a Pasqua, il "Trùc" coinvolge grandi e piccoli nel far rotolare uova sode colorate lungo pendii di sabbia, in una coreografia che sa di primavera e tradizione.

E poi c'è la Sicilia, dove a Novara, in provincia di Messina, si celebra da secoli il lancio del Maiorchino, un formaggio pecorino stagionato che rotola per oltre due chilometri lungo le vie del borgo. L'origine del gioco pare nasca dalla necessità dei casari di controllare la stagionatura del formaggio, verificandone la resistenza nel rotolamento per le strade. Il gioco è parte integrante della cultura locale, tanto da ricevere il riconoscimento dell'UNESCO come patrimonio immateriale dell'umanità.
In tutti questi casi, il legame tra prodotto e territorio è forte, visibile, narrato. Il gioco non è mai fine a sé stesso: è un omaggio, un modo per onorare e tramandare.
E in Valtellina?

Il Bitto DOP e il Valtellina Casera DOP non sono semplici formaggi: sono simboli identitari, figli di una tradizione casearia che ha attraversato i secoli.
Un tempo le forme di Bitto venivano trasportati delicatamente a spalla con la gerla dal calecc alla casera dell'alpeggio e poi nelle cantine del fondovalle, dove venivano accolte e coccolate con rispetto, quasi devozione.
Nelle latterie di paese il latte veniva trasformato attraverso un lavoro meticoloso, rispettoso, che continuava nelle cantine con le mani esperte del casaro. Un patrimonio culturale prima ancora che gastronomico.
In Valtellina il formaggio non si è mai lanciato. Si è accarezzato.
Viene da chiedersi quale sia davvero il senso di una manifestazione come il lancio della forma di formaggio. Quale legame autentico ha con il territorio e con la tradizione?
Far rotolare le forme lungo una strada sarà anche curioso e folcloristico, ma è davvero un modo rispettoso del lavoro di chi quel formaggio lo produce con grande impegno anche nelle terre alte?
E che messaggio trasmette ai più piccoli? È educativo vedere un prodotto così prezioso trasformarsi in uno strumento di gioco, in qualcosa da inseguire tra risate e applausi?
Valorizzare una tradizione non dovrebbe forse partire dalla conoscenza, dal rispetto e dalla consapevolezza del suo valore?

Ricordo un aneddoto raccontatomi da Dario Ciapponi dell'antico negozio Fratelli Ciapponi di Morbegno. "Nel nostro negozio erano state esposte, in una vetrina in bella mostra, alcune forme di Bitto. Una di esse, dopo essere scivolata in avanti, ha rotto la vetrina uscendo in libertà sulla strada, per poi rotolare in linea retta verso la stazione. Su un giornale locale il fatto fu commentato: Una forma di Bitto, che non voleva più stare nella sua tana, ha scelto la libertà".
Questo è forse l'unico "rotolamento" di una forma di formaggio nella storia casearia valtellinese.
A questo punto qualcuno potrebbe dirmi che, in Italia, il lancio del formaggio è una pratica antica, legata a una tradizione.
È vero. Radicata principalmente nell'Italia centrale e meridionale — Umbria, Marche, Toscana, Abruzzo, Sicilia, Calabria, Basilicata — ma presente anche in Emilia-Romagna, consiste nel lanciare una forma di formaggio stagionato (generalmente pecorino) lungo un percorso, spesso su strade di campagna o colline, cercando di coprire la distanza nel minor numero di lanci. Si utilizzano forme di peso e dimensioni uguali. Il lancio si effettua avvolgendo la forma con uno spago o una fettuccia, che viene fissata a un dito o al polso.

Il lancio del formaggio è anche uno sport riconosciuto dal CONI come disciplina tradizionale, regolata dalla FIGeST con gare regionali, nazionali e molti appassionati che si allenano regolarmente per migliorare tecnica, postura e traiettoria. Le regole generali del gioco sono fissate da un preciso regolamento.

Va però specificato che la FIGeST, tra i tanti sport tradizionali che coordina e organizza, regolamenta due tipologie di sport legati al formaggio: il lancio della forma di formaggio e il lancio della ruzzola-rulletto. Due sport quasi uguali, ma differenti per il materiale utilizzato. Nel primo caso si usano forme di formaggio stagionato (di forme e pesi diverse a seconda della categoria); nel secondo caso si usano dischi di legno a forma di formaggio (oppure, in alcuni casi, veri formaggi), con dimensioni divere a seconda del gioco (ruzzola o rulletto).
Va segnalato che da diversi anni in quasi tutti paesi dove si organizza l'evento il formaggio è stato sostituito dai dischi in legno.
Il lancio della Ruzzola è considerata uno sport di antichissima tradizione popolare, diffuso in tutta Italia fino a circa 50 anni fa, prima del declino dovuto all'industrializzazione e allo spopolamento delle campagne. Considerato un gioco delle classi più umili, la ruzzola potrebbe avere origini etrusche. Era certamente praticato alla fine dell'Impero Romano, come testimonia il ritrovamento di una ruzzola con spago in una tomba infantile.
Allora, se l'obiettivo della Proloco di Morbegno è valorizzare il formaggio valtellinese attraverso un'iniziativa popolare, se davvero il turismo valtellinese ha bisogno per questo di far ruzzolare i formaggi, se proprio è importante trovare un gioco tradizionale da associare al formaggio, perché non scegliere la ruzzola?
Si potrebbero usare dischi di legno personalizzati, magari decorati con i marchi Bitto DOP e Valtellina Casera DOP. Un modo per educare, divertire e promuovere il territorio senza banalizzarlo. Così facendo, il prodotto autentico viene preservato, restando al centro del racconto e non dell'asfalto; la tradizione locale viene rispettata, con una narrazione che valorizza il lavoro dei casari; il pubblico vive un'esperienza autentica, partecipando a un gioco che, sebbene non locale, ha radici storiche.
La tradizione non è una scenografia da spettacolo: è identità, è racconto..
Due pagine del numero di novembre del 1910 di " REZIA AGRICOLA" che raccontano la 2° edizione della mostra del Bitto di Morbegno

