L' antico mais ritorna in Valchiavenna
Siamo a Samolaco, in Vachiavenna, un'ampia zona pianeggiante che da Colico arriva a Chiavenna, Quasi al centro il lago di Mezzola con la sua vegetazione lacustre, con i canneti che si spingono ai paesi vicini come Samolaco.
E qui, due giovani Elisa e Filippo decidono nel 2018 di partecipare ad un bando del comune di Samolaco per l'utilizzazione di un lotto di terreni paludosi del comune. Una scommessa, una trasformazione radicale di un terreno che ha richiesto notevoli sforzi economici, tanta passione, tanto lavoro, che hanno permesso di trasformare i tre ettari di terreno paludosi in una azienda produttiva dove i frutti di bosco hanno sostituito le canne.
(leggi la storia di Elisa e Filippo)
Ma ai due giovani non basta, cercano qualcosa che possa
meglio legare l'azienda al territorio, alla storia del territorio e così tra le
serre per la coltivazione di fragole, mirtilli e more nasce una grande area
dedicata al mais rostrato della Valchiavenna.
Un progetto che entrambi amano raccontare, di cui sono particolarmente orgogliosi. Il progetto è stato avviato nel 2015 e ha impegnato il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pavia insieme alla locale Comunità Montana e ha permesso di dare un nome a un granoturco che un tempo veniva coltivato proprio anche a Samolaco, perpetuato nelle coltivazioni da qualche pensionato, da qualche piccola azienda per produrre la farina per la propria polenta. I contadini più anziani lo ricordano, perché capitava di vederne qualche pannocchia nei campi coltivati a granoturco della zona tra Gordona e Samolaco. Lo si riconosceva subito per il colore rosso dei chicchi, ma anche per la loro forma che terminava con un piccolo sperone appuntito che graffiava le mani quando si torceva la pannocchia per liberare i grani destinati alla macinazione. Il rostro spesso era assente o solo accentuato perchè in passato venivano selezionate per la semina i chicchi delle pannocchie meno rostrate per poterlo sgranare senza difficoltà.
E allora rostrato per via del rostro, e rosso per il colore così particolare: Mais Rosso Rostrato della Valchiavenna.
I ricercatori dell'Università di Pavia ne hanno selezionato il germoplasma isolandone il materiale ereditario. Un lungo lavoro di ricerca durato cinque anni che ha portato al recupero e alla valorizzazione di un seme storico, che oggi e conservato nella banca del Germoplasma dell'università di Pavia, preservando così la biodiversità genetica. Un seme poi messo a disposizione dalla Comunità Montana ai coltivatori disposti a seminarlo per favorirne il recupero.
Elisa e Filippo, venuti a conoscenza del progetto si sono subito appassionati all'idea di provare a recuperare un prodotto locale quasi dimenticato. Realizzano la prima semina su 3000 metri di terra e producono la farina utilizzando ancora le tecniche di un tempo che prevedevano la raccolta, la sgranatura a mano delle pannocchie e la macinatura lenta a pietra." Sgranatura a mano perché è importante recuperare la tradizione e macinatura a pietra presso il mulino Scotti di Delebio che riconsegna loro una farina con una macinatura ottimale, non troppo fine, non troppo grossa, ideale per valorizzare al meglio la colorazione rossastra data dai residui dei tegumenti esterni, caratteristica che tende a scomparire se la farina è macinata finemente.
E poi l'anno dopo, con i chicchi della loro coltivazione una nuova semina. "Adesso stiamo curando particolarmente la selezione del seme," mi dice Filippo, "inizialmente abbiamo avuto qualche difficoltà a recuperare il seme puro dalle nostre coltivazioni per la presenza nelle vicinanze di altri campi di mais, con il grande rischio di una ibridazione non desiderata. Il polline del mais si disperde con il vento e quindi abbiamo dovuto eseguire un'impollinazione controllata, con l'incappucciamento delle spighe e la fecondazione manuale, ma da due anni abbiamo trovato un piccolo appezzamento isolato, lontano da altri campi di mais, dove coltiviamo il mais rosso solo per la produzione del seme e il mantenimento della purezza sta funzionando moto bene."
La prima produzione, in sacchetti sotto vuoto è subito messa in commercio ed apprezzata dai clienti, da diversi ristoranti e anche da un panificio di Milano per la produzione di un pane di mais. Un'ottima farina per la polenta, con una resa maggiore rispetto agli altri mais, più digeribile, con un profumo intenso e autentico, un retrogusto amarognolo tipico di questa varietà.
Un progetto importante che ha evitato la scomparsa di
un pezzo di storia della Valchiavenna e che oggi permette di offrire ai
consumatori alla ricerca di sapori particolari, genuini, tradizionali, un'ottima
farina per la preparazione della polenta, soprattutto taragna, tipico piatto
della cultura contadina della valle.