la latteria di Mellarolo resiste ancora
Sono le otto di una fredda giornata di gennaio. Cammino lungo un vicolo stretto, che porta al centro della frazione dove c'è la latteria. Sul portone un cartello: latteria di Mellarolo, un cerchio con la scritta Terra Alta di Valtellina con al centro il disegno di un campac', in basso, in piccolo, il logo dell'azienda agrituristica La Fiorida. Entro, un leggero tepore derivante dal fuoco che scalda la grande caldaia mi avvolge. Massimo, il casaro, ha già recuperato la panna affiorata durante le 40 ore precedenti e riempito la zangola che sta girando lentamente. La caldaia in rame contiene già il latte delle tre mungiture precedenti, ed è pronta a ricevere il latte intero della mungitura della mattina.
Arrivano i soci. Il primo è il Mario, 61 anni, una vita dedicata all'agricoltura, una piccola stalla con due vacche e una vitella, appena fuori dal paese e un'altra stalla più in alto, dove si trasferisce a maggio. 40 pertiche di terreno, tutti in pendenza, dove si riesce ad usare la motofalciatrice, ma poi tutte le altre operazioni devono ancora essere fatte a mano, rastrello, forca e il campac' per il trasporto. Mario versa il suo latte per la pesa, riempie il secchio e il brentel di siero per la sua vitella Julia ed esce sorridente. Lo aspetta la seconda colazione, salsiccia e pane.
Ecco Diego. Un'altra famiglia con una grande tradizione agricola. Tre fratelli, Aldo Diego e Massimo( casaro della latteria). Il padre Plinio, caricatore e anima dell'Alpe Piazza per quarant' anni con tutta la famiglia, con i bambini di pochi mesi che sono cresciuti nutrendosi della cultura contadina di montagna. Una lunga tradizione di transumanza, di lavorazione dei prati alti del paese, 11 stalle sparse sul territorio utilizzate due mesi prima dell'alpeggio e due mesi dopo. Da La Corte, a Ronchi, a Zocca. Oggi i due fratelli continuano la tradizione di famiglia con 6 vacche e 25 capre.
E poi il Nando, uomo di poche parole, il più anziano: 66 anni, 10 vacche, più di cento pertiche di terreno. Da maggio, transumanza in stalle da Mellarolo a Ronchi, poi a Tagliate e infine le vacche in alpeggio ad Olano, mentre lui si dedica alla fienagione dei prati per avere la riserva di fieno per l'Inverno. Fieno di montagna che arricchisce il valore del latte e quindi del formaggio di latteria.
Mario, Nando, Diego e Massimo, sono loro i contadini sopravvissuti all'abbandono generalizzato delle Terre Alte della Valgerola, sono loro che con passione permettono alla latteria di Mellarolo di perpetuare la lunga tradizione casearia iniziata nel 1912 e costituita da 33 soci.
Oggi è l'unica latteria ancora attiva in Valgerola, e unica latteria attiva nel comune di Cosio che negli anni settanta ne contava otto.
Erano gli anni delle tante piccole stalle con una mucca e un vitello presenti quasi in tutte le famiglie del paese e che nella latteria hanno trovato per oltre mezzo secolo le condizioni ideali per la trasformazione del loro latte in burro e formaggio.
Poi lentamente negli anni settanta il numero dei soci comincia a calare, i piccoli produttori chiudono le loro stalle, alcuni prati dei maggenghi vengono abbandonati e lentamente il prezioso cotico erboso che circonda la frazione si trasforma in bosco. Sono gli anni del casaro Plinio Zugnoni ("Masnada"), che dopo la stagione all' alpe Piazza, torna in paese e trova la grande caldaia della latteria ad attenderlo.
E lì, come in alpe, ha un aiutante speciale, il piccolo Massimo, il figlio, che lo segue sempre curioso di capire la magia della trasformazione del latte in formaggio. Curiosità e passione che si trasformano presto in capacità, tanto che a 12 anni lentamente sostituisce il padre nella lavorazione del latte in latteria, e già a quattordici continua da solo l'attività. Oggi, Massimo dopo più di 40 anni, è ancora davanti alla grande caldaia in rame, acquistata dalla latteria proprio nell' anno della sua nascita, e continua quella magia acquisita da piccolo mettendo a disposizione la sua passione, le sue capacità ai pochi soci rimasti.
Un lavoro importante per la piccola comunità, una resistenza quasi eroica. che riesce a sopravvive al calo delle produzioni, alla chiusura delle piccole stalle. La passione dei piccoli agricoltori però lentamente si scontra con la difficolta della vendita del prodotto che i soci ritirano ogni fine mese. II rischio della chiusura si fa in anno in anno sempre più concreto.
Cosi nel 2017 nasce il progetto "Terra Alta di Valtellina", creato e voluto di Plinio Vanini, titolare dell'azienda agrituristica "la Fiorida"
Un progetto etico ed eco-solidale che ha l'obiettivo di valorizzare economicamente le lavorazioni agricole e artigianali realizzate oltre i 700 metri di quota e consentire la prosecuzione delle coltivazioni dei maggenghi, creando l'opportunità per il consumatore di fare una scelta etica e consapevole verso i prodotti della terra d'alta montagna ed il mantenimento della loro integrità.
Perché in montagna il lavoro richiede fatica, passione, perché il foraggio prodotto lassù è sicuramente diverso da quello prodotto in bassa valle, perché portare in stalla il fieno dei prati in notevole pendenza costa fatica è soprattutto deve essere lavorato ancora a mano, trasportato ancora con il campac'.
Un'agricoltura, dove la transumanza è doverosa per il mantenimento dell'ambiente, dove i maggenghi devono rimanere prati, e non sostituiti dal bosco. e dovrebbero ancora produrre quel foraggio prezioso per le vacche. E poi c'è la cultura del bosco, e allora la lettiera delle vacche nelle piccole stalle, con le mucche legate, non è la paglia ma è ancora il fogliame del bosco, raccolto con il rastrello, trasportato con il campac'... il bosco rimane pulito, limitando anche i rischi di possibili incendi, diventando un'attrattiva per il turismo.
E tutto questo, con il progetto "Terre alte di Valtellina", è stato perpetuato creando una continuità con il passato. Ma se prima i pochi soci della latteria non riuscivano a vendere il loro prodotto o lo svendevano per non riempire la cantina, con l'acquisto in toto da parte della Fiorida, possono sentirsi soddisfatti. Soddisfazione che i tre soci mi confermano, finalmente vedono le loro fatiche valorizzate e riconosciute motivandoli a continuare la loro attività
Nel 2017 il bravo casaro Massimo lavorava circa 400 litri di latte ogni due giorni producendo 4 forme di formaggio; oggi, dopo 6 anni il quantitativo di latte si è mantenuto. Dalla nascita del progetto il numero delle vacche e rimasto uguale, l'abbandono dei maggenghi si è fermato, ma soprattutto oggi c'è la soddisfazione da parte dei soci di vedere le loro belle forme allineate nelle scalere della cantina della latteria pronte per essere vendute subito.
Il Mario
Mario abita appena dietro la latteria. Vive solo, non si è mai sposato. Casa ristrutturata, cucina grande, dignitosa. Stalla poco lontana in un posto isolato, due vacche, una vitella e diverse galline che lascia razzolare nel prato.
Lo trovo seduto a tavola mentre fa colazione. Cappellino in testa, pane e salame, il cellulare in mano per controllare la sua pagina Instagram. Mi mostra subito tutto soddisfatto le foto pubblicate sul suo profilo: la nascita della vitella Julia, vacche premiate nei vari concorsi zootecnici.
Parlantina facile, italiano corretto e tra un boccone e l'atro mi racconta la sua vita.
Una vita di sacrifici, di fatica, di lavori fatti ancora come si faceva una volta. Nelle sue parole c'è il desiderio di farmi capire l'importanza del suo lavoro, dell'utilità di avere ancora nel paese una latteria, non solo per avere un burro e un formaggio genuino ma soprattutto per mantenere l'uomo in montagna, per curare la terra, tenere puliti i prati, continuare la transumanza così importante per il mantenimento del territorio, per non trasformare i maggenghi in bosco. "... quei boschi" mi dice "che noi teniamo puliti, perché noi usiamo ancora la foglia come lettiera per le nostre mucche. Un lavoro lungo, fatto con il rastrello, con il campac' per il trasporto in stalla, ma sicuramente un lavoro utile per tutta la comunità."
Mangia un pezzo di pane, una fetta di salsiccia, si sistema il cappellino e comincia a raccontarmi altre pagine della sua vita. Quando nell'87 ha frequentato un corso per diventare esperto valutatore della morfologia delle vacche e poi in giro per l'Italia, anche 180 giorni all'anno di valutazioni morfologiche in stalle di paesi lontani per quattro anni. O quando girava per le stalle valtellinese con il direttore dell'APA per selezionare le brune da portare a Verona. Mi parla delle caratteristiche morfologiche delle Brune; usando anche termini tecnici mi spiega perché il latte delle Brune è il migliore per la trasformazione in formaggio. Mi racconta le sue esperienze nelle mostre, dei premi che ha ottenuto nei vari concorsi provinciali e regionali. Poi mi parla della sua pensione, che riceve da ottobre, "... la minima," mi dice, "ma a me va bene, da quando la ricevo sono riuscito anche a risparmiare qualcosa e avere una certa tranquillità economica."
Gli chiedo se è contento del progetto "Terra alta di Valtellina" e del lavoro del casaro Massimo. Si risistema il cappellino, mi guarda, sorride, "certo" mi dice "finalmente abbiamo avuto un giusto riconoscimento per il nostro lavoro e la valorizzazione del nostro prodotto... perché ricordati che il formaggio di montagna è diverso da quello prodotto in pianura e soprattutto dietro quel formaggio c'è il mantenimento del nostro territorio."
Si alza, prende un tagliere, taglia un pezzo di formaggio e me lo fa assaggiare. Metto sotto il naso il pezzetto, sentori delicati tipici di una ottima lavorazione. Lo metto in bocca, nessun difetto, dolce, piacevole, aroma delicato. Bravo Massimo, continua così e allora forse la motivazione per continuare rimarrà ancora nei cuori dei pochi soci rimasti e chissà... magari qualche giovane...