Patrimonio UNESCO: cucina italiana, donna e memoria

27.12.2025

Il 10 dicembre 2025 l'UNESCO ha iscritto "La cucina italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale" nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità: un riconoscimento che non celebra un singolo piatto, ma un intero modo di vivere, tramandare e condividere il cibo..

È un passaggio storico perché, per la prima volta, viene riconosciuta una cucina nazionale nella sua interezza: non una ricetta, non una tecnica isolata, ma un sistema culturale fatto di gesti quotidiani, stagioni, territori, relazioni. Per la prima volta un'intera cucina viene iscritta nella lista del patrimonio immateriale, identificandola di fatto come la migliore del mondo. .

Il percorso è stato avviato e sostenuto con forza da Maddalena Fossati Dondero, direttrice di "La Cucina Italiana",  la storica rivista gastronomica (Gruppo Condé Nast) fondata nel 1929: un lavoro lungo, collettivo, costruito nel tempo, che ha portato a dare un nome e una dignità internazionale a ciò che, per noi, è sempre stato naturale.

Non è solo cucina: è memoria, comunità, identità

Questo riconoscimento racconta la nostra storia, la nostra agricoltura, la nostra quotidianità, il nostro saper fare. Ma soprattutto mette al centro un punto spesso dimenticato: la cucina italiana è cultura anche quando non indossa una giacca bianca.

Parla di pratiche, rituali e memorie: la trasmissione dei saperi da una generazione all'altra, le tavole di famiglia, le feste, i pranzi della domenica, la cura del dettaglio che nasce dalla necessità prima ancora che dall'estetica. Per secoli, questa cultura è stata portata avanti da un lavoro quotidiano in gran parte femminile, fondamentale eppure raramente celebrato con lo stesso entusiasmo con cui celebriamo le "firme".

Quando diciamo "cucina", chi immaginiamo?

Nella narrazione gastronomica contemporanea domina spesso la figura dello chef: autorevole, mediatica, quasi sempre maschile. E anche in questi giorni, tra giornali e TV, sono soprattutto loro a commentare l'importante riconoscimento.

Nel frattempo, la parola "cuoca" viene ancora trattata come se fosse minore, quasi un diminutivo. Eppure la cucina italiana è nata nelle case, nelle corti, nei paesi, in cucine piccole dove si ragionava più di sostanza che di impiattamento.

Erano le donne che "mettevano le mani in pasta". La cucina, per lunghissimo tempo, è stata il loro spazio di responsabilità: nutrire, far quadrare conti e stagioni, trasformare il poco in abbastanza, e l'abbastanza in festa. E non solo in casa: anche in osterie e trattorie, quante donne hanno trasferito quel sapere nei piatti "del paese", costruendo identità locali

Sostenibilità, prima che diventasse una parola di moda

Quella sapienza era fatta di gesti e di recupero: pane raffermo che diventa pappa al pomodoro, ribollita, canederli, polpette. Legumi che rendono ricche zuppe e paste. Verdure dell'orto che, con un filo d'olio e una manciata di sale, diventano piatti "importanti".

E dietro, sempre, c'erano gli artigiani del gusto: casari, panettieri, macellai, ortolani, olivicoltori, vitico.ltori. Un ecosistema di mani e competenze che ha reso possibile quella cucina "semplice" che semplice non è mai.

Persino la più essenziale delle icone, la pasta al pomodoro, racconta questa geografia: ingredienti pochi, sì, ma nati in territori diversi, con climi ed equilibri che li rendono unici. 

E questa, forse, è la definizione più vera di sostenibilità: non sprecare, rispettare l'ingrediente, usare tutto, valorizzare il territorio.

Non a caso, nella motivazione della candidatura, parole-chiave come sostenibilità e diversità bioculturale non sono decorazioni: sono il cuore del messaggio.

Non a caso, nella motivazione della candidatura, parole-chiave come sostenibilità e diversità bioculturale non sono decorazioni: sono il cuore del messaggio.

Donne, cucina e formazione: non solo "fornelli"Le donne, però, non sono state protagoniste solo della cucina domestica: hanno avuto un ruolo centrale anche nella formazione e nella divulgazione.


Le donne, però, non sono state protagoniste solo della cucina domestica: hanno avuto un ruolo centrale anche nella formazione e nella divulgazione.

Basta pensare alla rivista "La Cucina Italiana" prima rivista di cucina, considerata unica e la più diffusa per più di mezzo secolo. Rivista ricordata anche per aver dato, da subito, spazio e ruolo centrale alle donne nel fare editoria di cucina. Il sapere pratico che diventa autorevole. Pagine capaci di rendere "importante" ciò che veniva liquidato come "povero".

E poi c'è un libro che ha formato generazioni: "Il Talismano della Felicità" di Ada Boni, ricettario-mondo consultato ancora oggi, non solo da chi cucina a casa ma anche da molti professionisti, perché è insieme tecnica e cultura.

E non dimentichiamo Petronilla, pseudonimo di Amalia Moretti Foggia, medico e divulgatrice: con la rubrica "Tra i fornelli" sulla Domenica del Corriere portò nelle case italiane ricette concrete, intelligenti, spesso nate dall'arte di fare bene con quello che c'è. E con un dettaglio che dice molto del suo tempo: per farsi ascoltare anche quando parlava di salute, firmava come "Dottor Amal", uno pseudonimo maschile scelto per essere presa sul serio.

Sì, esistono gli chef. Ma il patrimonio viene da più lontano

Certo: esistono gli chef, i grandi ristoranti, le firme. E oggi, finalmente, anche molte donne sono protagoniste dell'alta ristorazione italiana.

Ma vale la pena ricordarlo, proprio adesso: se il mondo celebra la cucina italiana come patrimonio dell'umanità, quel patrimonio nasce spesso da ingredienti semplici, messi insieme con amore e intelligenza, dentro storie familiari e comunitarie. Nasce da un sapere diffuso, condiviso, tramandato.

E forse la cosa più bella di questo riconoscimento è proprio questa: ci ricorda che la cucina italiana non è solo "eccellenza". È anche e soprattutto amore e intelligenza.