Ricordi tra le dita

19.06.2023

Una passeggiata in bicicletta sul sentiero Valtellina, una pausa per un sorso d'acqua all'ombra di un gelso e il mio sguardo cade sui frutti maturi della pianta.

Subito la mente ritorna a più di sessanta anni fa, quando da bambini si andava a prendere i murùn, che si nascondevano tra le grandi foglie di queste piante.

Frutti simili alle more, ma più dolci, leggermente appiccicosi e quel contatto tra le dita mi ha riportato alla memoria il ricordo del mio maestro delle elementari, uno dei tanti insegnanti che negli anni cinquanta raccontavano alle nuove generazioni nate subito dopo la guerra i lavori del passato ormai abbandonati per l'inizio del boom economico.

Siamo nel 1959, mese di maggio, frequentavo la terza elementare, e il maestro Pola ( allora i maestri si chiamavano con il cognome) si presentò in classe (veniva tutti i giorni a piedi da Morbegno) con una sorpresa per noi. Da sotto la camicia tolse una bustina, dicendoci che l'aveva  tenuta lì, sul petto tutta la notte, perché le piccole uova dovevano stare al caldo per schiudersi. 

 Poi ci portò in un'altra aula dove aveva unito i banchi e sopra ad un cartone forato aveva messo delle foglie di gelso tritate finemente. Depositò delicatamente le uova dei bachi da seta sul piano e ..."dobbiamo aspettare, domani probabilmente saranno già schiuse".  

Per diversi giorni, subito dopo la quotidiana preghiera dell'inizio delle lezioni ci accompagnò nell'aula ad osservare il ciclo dei bachi fino alla formazione dei bozzoli. Ma noi bambini non eravamo solo osservatori. Tutte i giorni dovevamo portare in classe delle foglie di gelso. A Talamona, come in tanti paesi della Valtellina, le piante di gelso erano abbondanti ed era facile trovarne vicino alle "muracche" che dividevano i prati. 

 Cosi prima di rientrare a scuola per le lezioni pomeridiane ci fermavano a prendere le foglie, ma la nostra attenzione era maggiormente rivolta a quei piccoli frutti bianche o neri che si nascondevano tra le foglie e che lasciavano le dita colorate. Era un rito quotidiano, che a turno dovevamo fare anche al giovedì (in quegli anni i bambini delle scuole elementari al giovedì non andavano a scuola). "Perché i bruchi mangiano tutti i giorni" diceva il maestro.  

Non ricordo invece come avvenisse l'alimentazione nei giorni festivi, probabilmente con un quantitativo di foglie maggiore nella giornata precedente.  

Ho ricordi piacevoli di quelle visite nell' "aula dei bruchi", ricordo le piccolissime larve che attraverso le varie mute avevano raggiunto  la lunghezza di 8/9 cm, e cambiato colore, ocra, poi grigio sino al bianco. Tutti i giorni era una sorpresa fino all' arrampicata nel "bosco" preparato con rami secchi dove i bruchi erano saliti  e lentamente avevano intrecciato  il loro filo fino a chiuderlo intorno al proprio corpo. 

Ricordo la meraviglia di  noi bambini vedendo  le mani grosse del maestro che delicatamente cercavano l'inizio del filo nel bozzolo bianco per tirarlo e crearne uno lungo. 

 "Pensate, ogni bozzolo è un gomitolo di circa 1.000 metri" aveva detto  "e per costruirlo il bruco deve compiere circa 200.000 movimenti del capo per chiudere il bozzolo in un tempo di circa 2/3 giorni".

La magia dei bachi da seta, la bachicoltura, una professione importante per l'economia Lombarda scomparsa negli anni cinquanta. Tante curiosità che mi sono rimaste nella mente e oggi affiorano mentre guardo la mia mano nera  e ricordo il mio maestro, l'arrampicarmi suo gelsi, il gusto leggermente acidulo dei "murùn", la nostra frutta prima delle lezioni pomeridiane del mese di giugno.