Un nuovo rosso di Valtellina  

04.05.2017

Un tempo negli orti della Valtellina si coltivava lo Zafferanone, un "cugino" dello zafferano: il cartamo. Una spezia con un potere amaricante moto più basso dello zafferano.

Si dice invece che a Poggiridenti, negli anni trenta/quaranta, in qualche orto fosse coltivato il vero zafferano (Crocus Sativus) quasi di nascosto, perché c'era la convinzione che la coltivazione fosse vietata per una specie di monopolio di stato in vigore sul territorio nazione. Nei primi anni 2000 la Fondazione Fojanini di Sondrio, all'interno di un progetto d'incentivazione di colture alternative, inizia una sperimentazione della coltivazione dello zafferano, organizzando anche momenti di formazione specifici, che negli ultimi anni hanno visto un'attenta e importante partecipazione di giovani, molto spesso occupati professionalmente in settori diversi dall'agricoltura.

.La facilità della coltivazione, l'apprezzamento del processo produttivo considerato ecologico, pulito, sostenibile, adatto alla sensibilità e delicatezza femminile, la possibilità di utilizzare terreni marginali, abbandonati o ancora la potenziale redditività della coltura, sono sicuramente i motivi che hanno spinto sempre più giovani a interessarsi a questa çoltivazione

Così dai primi metri quadrati sperimentali della Fojanini, oggi in provincia di Sondrio si calcolano circa 8.000 metri quadrati di coltivazioni suddivisi in piccoli appezzamenti, spesso destinati a uso familiare, ma anche con alcuni produttori che hanno iniziato ad aumentare la superficie destinata alla coltivazione, a completare il ciclo produttivo con il confezionamento e la vendita, a eseguire le analisi per offrire al cliente un prodotto di qualità.

"Era un vigneto terrazzato abbandonato, che lentamente si stava trasformando in bosco, ma nel rispetto della storia, del lungo e faticoso lavoro di lontane generazioni che hanno strappato la terra alla roccia, non si poteva lasciarlo trasformare in bosco.
Così ho deciso di intervenire e iniziare una coltivazione alternativa che mi aveva affascinato: la coltivazione dello zafferano.
"

Inizia così a raccontarmi Alessandro Gusmerini, geometra ma con la passione per la terra, con il desiderio di valorizzare un piccolo territorio, di salvarlo dall'abbandono, dall'erosione.

La sua è sicuramente un'esperienza che merita di essere raccontata.

"L'interesse per la coltivazione dello zafferano è nato per caso guardando un documentario alla televisione. Poi mi sono informato e grazie anche all'aiuto della Fondazione Fojanini ho iniziato con un piccolo campo sperimentale mettendo a dimora 200 bulbi. Il risultato è stato incoraggiante. Ho mandato il prodotto a Edolo per le analisi ed ho avuto subito la prima soddisfazione: i miei pistilli classificati in prima categoria, massima consentita, prodotta di qualità.

Mi sono convinto che i presupposti per andare avanti c'erano e l'anno successivo ho messo a dimora 4000 bulbi.
La scelta del terreno mi ha portato ha valorizzare a Pedemonte una vecchia vigna di famiglia abbandonata da venticinque anni e ormai diventata bosco.
Certo avrei potuto iniziare in un terreno diverso, magari più vicino a casa (io abito a Delebio) evitando i lunghi viaggi ma
la soddisfazione di vedere i primi fiori color lillà mi ha ripagato della fatiche.

Poi continua a spiegarmi le cure agronomiche dello zafferano, che non richiede tecniche di lavorazione particolari, che si adatta in tutti i terreni sufficientemente drenati (i bulbi richiedono terreni asciutti), che ama il sole ma si adatta anche alle zone ombrose, che non soffre il vento e la siccità. Operazioni semplici: una vangatura o aratura in profondità, correzione dell'acidità del terreno con un po' di cenere, concimazione organica quando si ara il terreno per il posizionamento dei bulbi seguita da una concimazione superficiale ogni anno a gennaio per permettere un buon rinvigorimento e l'ingrossamento dei bulbi, pulizia delle erbe infestanti, raccolta dei fiori, essicazione dei pistilli.

"La coltivazione dello zafferano richiede solo tanta pazienza." continua Alessandro "La lentezza è il fattore determinate nella coltivazione. Anche la scelta dei bulbi è fondamentale, devono essere di una certa dimensione. Più il bulbo è grosso più farà fiori grossi e un maggior numero di fiori. Ogni bulbo singolo può produrre dai tre ai cinque fiori (ogni fiore contiene sempre tre pistilli). Partendo da bulbi grossi si avranno poi, negli anni successivi, i figli del bulbo madre più grossi, quindi più produttivi. Il picco massimo di produttività si ha verso il quarto anno. L' inizio della nuova coltivazione, decorsi 4/5 anni, presuppone il cambio del terreno ma non dei nuovi bulbi; si utilizzeranno infatti quelli cavati dal terreno "vecchio"; a quel punto si potrà anche decidere se rimetterli tutti a dimora o rivendere eventuali eccedenze.

Non ci sono grossi problemi nella coltivazione, occorre solo passione e tanta mano d'opera perchè tutte le operazioni vanno fatte lentamente e manualmente. Così l'eliminazione delle erbe infestanti va fatta adagio, facendo attenzione a non muovere i bulbi. La fioritura dura anche un mese e la raccolta deve essere fatta tutti i giorni, la mattina presto. Prima del sorgere del sole e soprattutto prima che il fiore si apra. Se aspetti il giorno dopo l 'esposizione agli agenti atmosferici dei pistilli ne compromette la qualità. La raccolta inizia a metà ottobre e va fatta rigorosamente a mano, strappando delicatamente il fiore con due dita. La separazione del pistillo avviene dopo su un tavolo. Si aprono i fiori e si staccano i pistilli. E' un lavoro certosino, il pistillo è attaccato a un filamento bianco, se vuoi un prodotto di qualità, devi staccare solo il pistillo rosso, eliminando il filamento bianco. Ovviamente la resa è minore, ma la qualità è indubbiamente superiore e giustifica anche il prezzo maggiore. Il consumatore esperto vuole solo il prodotto senza filamenti.

I pistilli sono ora pronti per l'essicazione. Anche questo è un lavoro che richiede molta attenzione, In Iran e Marocco, si utilizza il sole, in Sardegna si fa sulle braci, da noi si usa il forno di casa, ma il sistema più sicuro e dotarsi di un piccolo essiccatore. La perfetta essicazione è determinante per avere un prodotto di qualità. Il processo non deve superare i 45 gradi C., oltre questa temperatura i pistilli si rovinano, si bruciano e non possono più essere commercializzati."

Poi la nostra conversazione si sposta sull'aspetto economico. Alessandro sorride,

"Chi coltiva lo zafferano lo fa per passione, difficile diventare ricco. I 4200 bulbi complessivi messi a dimora hanno prodotto circa 30 gr di prodotto . Il valore commerciale è di 20 € il grammo. Una produzione molto bassa, ma la resa aumenterà negli anni successivi. Calcolando il costo dei bulbi, le ore di lavoro, il confezionamento, non posso considerarla sicuramente per ora una coltura redditizia. E poi c'è, la difficoltà nel proporlo come alternativa alla comoda bustina, la mancanza di conoscenza nell'utilizzo. Ma per me è importante la soddisfazione di aver creato qualche cosa partendo da una vigna di famiglia, poter vendere o anche regalare un prodotto mio, naturale, nato dal lavoro delle mie mani e soprattutto un prodotto di qualità .

Già, manca la cultura dello zafferano in pistilli. I consumatori, ma anche i ristoratori, sono abituati alla comoda bustina, dimenticando che lo zafferano in polvere è uno degli alimenti più facile alle adulterazioni perché può facilmente essere mescolato con altri tipi di spezie come la curcuma, il cartamo, la calendula, o con pistilli di zafferano non puri, o ancora con zafferano vecchio e mal conservato. I filamenti rossi sono più sicuri, la loro purezza e facilmente valutabile visivamente e nell'utilizzazione danno un aroma più completo, una fragranza particolare, una completa valorizzazione delle proprietà della spezia e sono anche piacevoli da vedersi nei vari piatti. Gli zafferani DOP italiani (Z. d'Aquila, Z. di San Geminiano, Z di Sardegna), la maggior garanzia per il consumatore, sono commercializzati in stili, non in polvere.

Spesso chi utilizza i pistilli dello zafferano mette il prodotto direttamente nella pentola ottenendo ovviamente risultati scadenti, peggiorativi rispetto all' uso dello zafferano in polvere.

L'utilizzazione dello zafferano in stimmi invece prevede lo stemperamento del prodotto in una minima quantità di acqua calda o brodo caldo (circa cinquanta gradi) per permettere il rilascio di tutte le sostanze coloranti e aromatiche presenti negli stimmi. Il processo deve durare almeno quaranta minuti e allora si vedrà il miracolo dell'acqua che si colora via via di giallo intenso.

L'infuso così ottenuto si caricherà di tutte le proprietà organolettiche della spezia e potrà essere usato per la preparazione dei piatti, dai risotti alle minestre, dai secondi di carne in umido ai dolci.

Si consiglia anche la copertura del recipiente per non perdere il profumo che lo zafferano inizierà a sprigionare.

Ma ritornando allo zafferano coltivato in Valtellina, molti lettori si chiederanno :

Ci può essere un futuro?

Io credo di sì.

E' una coltura impegnativa ma potrebbe sicuramente dare grossi soddisfazioni anche economiche uscendo dalla condizione di prodotto famigliare.

C'è un mercato potenziale derivante dai turisti che cercano sempre più prodotti tipici ma soprattutto ecologici, c'è il mercato interno della ristorazione, delle mense scolastiche, dove si tende a privilegiare i prodotti locali, c'è la regalistica natalizia (le confezioni fresche di zafferano sono pronte per Natale) e c'è sicuramente un consumatore valtellinese che, se informato opportunamente sull'utilizzo, può acquistare il prodotto per sostenere una coltura locale.

E' importante però che si esca dall'improvvisazione, che si produca un prodotto di qualità con parametri uguali (capacità colorante, capacità aromatica, capacità amaricante, umidità massima) i cui valori alti dipendono da una corretta raccolta e selezione dei pistilli.

E' importante produrre un prodotto di qualità e commercializzarlo come "zafferano di Valtellina", con un marchio collettivo, cercando di promuoverlo nei ristoranti, nei negozi di gastronomia, abbinandolo nella commercializzazione degli altri prodotti di qualità di cui la nostra provincia e ricca.

Un piccolo calcolo.

Calcoliamo una produttività di 1 kg di prodotto ogni 5.000 metri quadrati. In provincia di Sondrio ci sono 1000 ristoranti (ristoranti, ristoranti di alberghi, agriturismi , rifugi), se ogni struttura acquistasse almeno 10 grammi all'anno di "zafferano valtellinese "(consumo molto basso) avremmo un acquisto totale di 10 kg di zafferano equivalenti ad una superficie produttiva di 50.000 metri quadrati. Se aggiungiamo il possibile acquisto di turisti e di valtellinesi, potremmo considerare credibile una potenzialità di 50.000 metri quadri di coltivazione di zafferano.

foto di Alessandro Gusmerini g.c.

Pagina FB: RossoCroco Zafferano di Valtellina