Un pezzo di storia casearia nella contrada Bottà di Morbegno.

15.04.2019

E ancora lì uguale a cento anni fa. Con le piccole finestre, i muri in sasso, le vecchie inferiate in ferro. Un pezzo di storia in mezzo ad abitazioni nuove e ristrutturate nella contrada Bottà di Morbegno.

Entrando sento subito quel profumo di antico, di quando ero piccolo e tutte le sere andavo con il secchiellino ad acquistare il latte nella latteria del mio paese. Nei negozi non c'era ancora il latte confezionato. E poi guardavo con curiosità i ragazzi più grandi o le donne che portavano il latte nei secchi di allumino o nel "brentel". Il casaro pesava il latte e lo versava in larghe conche di alluminio appoggiate in una lunga vasca di sasso per permettere l'affioramento notturno del grasso. Li guardavo uscire con secchi e brentel colmi di siero. Anche la quantità di siero veniva segnata sul libretto perché il siero non era considerato un rifiuto speciale, era una risorsa importante e ne veniva quantificato il ritiro sottraendolo nel conto di ogni singolo socio.

È stata costruita nel lontano 1909. I soci fondatori erano una trentina. Erano gli anni con le stalle di piccole dimensioni, adiacenti alle abitazioni con una media di bovini di 1-2 capi per stalla. Vacche che producevano 10-15 litri di latte al giorno e il bisogno di unire il latte per migliorare la qualità del formaggio cominciava ad essere condivisa anche dai contadini più scettici, più individualisti. E così grazie ad alcuni amministratori illuminati, alla capillare informazione del consorzio agrario e della cattedra ambulante dell'agricoltura, queste nuove forme associative si diffusero su tutto il territorio provinciale. 

Erano già 26 nel 1883, crescono a 33 nel 1900 per giungere a 139 nel 1934 e a 150 nel 1952. Poi la fase discendente con l'inizio dell'abbandono dell'agricoltura anche in Valtellina: 116 nel 1975, 23 nel 2009.

Una presenza capillare su tutto il territorio provinciale che ha permesso un netto miglioramento della qualità dei formaggi, del reddito agricolo, ed ha svolto un ruolo sociale di primaria importanza tra i tanti soci che partecipavano attivamente e con interesse alla gestione dell'attività. Momenti di crescita professionale ma anche di crescita culturale, di scambi di idee.

Ogni paese, aveva la sua latteria, ma spesso anche ogni singola contrada, per comodità, per essere più vicini o forse per quel campanilismo tipico della nostra gente, perché il nostro latte è più buono del vostro. E così capitava che in un paese ci fossero diverse latterie, come nel comune di Cosio Valtellina dove ne 1975 se ne potevano contare addirittura 8.

Potevano essere turnarie o sociali. Nelle latterie turnarie si dividevano le giornate settimanali o mensili di lavorazione in funzione della quantità di latte conferito.

In ogni turno il socio lavorava il latte di tutti. Nelle latterie sociali invece c'era un casaro assunto dalla latteria che lavorava per tutti i soci.

Nel 1975 nel mandamento di Morbegno c'erano 48 latterie in piena attività. Oggi, ne rimangano tre: La latteria Bottà di Morbegno, la latteria Vallone di Traona e quella di Mellarolo in Val Gerola.

All'interno della latteria Bottà, Francesco ha già iniziato il suo lavoro. La caldaia è già riempita per la lavorazione del formaggio. Mi guardo in giro, il luccichio dell'acciaio che ha sostituito il legno di tutte le attrezzature mi dà subito un piacevole sensazione di pulizia. Il latte nella grande caldaia in acciaio non è più riscaldato con la legna ma con un impianto a vapore. Le conche per l'affioramento del latte non ci sono più ,sono state sostituite da un grande frigo in acciaio dove il grasso affiorato rimane dopo che il latte magro è stato fatto uscire lentante dalla parte inferiore. Anche la zangola a mano è stata sostituita con una in acciaio a motore. Le pareti dei locali di trasformazione del latte sono piastrellate, anche le fascere di legno sono state sostituite da quelle più igieniche di plastica.

Ma il profumo del siero, del latte è ancora quello. I pani di burro, sono stati formati ancora con lo stampo di legno che permette il decoro di una mucca sul burro (la pala) e sono sistemati in bella vista, pronti per essere confezionati con la carta oleata. I soci che arrivano con i loro bidoncini si avvicinano alla bilancia, per la pesa, aiutano il casaro Francesco a versare il latte, controllano il peso e dopo lo svuotamento dei lori recipienti sono pronti ancora a riempirli con il siero. 

I movimenti di Francesco nella preparazione del formaggio sono ancora quelli. La lira mossa lentamente, la mano immersa nella cagliata che raccoglie una manciata di grani di cagliata, la testa nella caldaia, le mani che tengono un telo immerse nel liquido ancora caldo, la cagliata che viene raccolta nel telo con gesti sicuri, l'unione dei quattro angoli del telo e poi con uno scatto il fagotto viene estratto, e messo all'interno delle fascere di legno.

"Sette forme" mi dice "lavoriamo circa otto quintali di latte al giorno, vent'anni fa erano di meno, circa sette, sono diminuiti i soci ma il latte è aumentato."

Io continuo a osservare i suoi movimenti; quando tutta la cagliata è stata messa nelle fascere ed è stata schiacciata con i pugni per non creare vuoti nella pasta, ecco le forme pronte sul pressoio ( spresûr).

Dopo la pulizia del locale di lavorazione ci spostiamo in quello di ricevimento del latte e Francesco, mentre mi racconta il suo lavoro, inizia a impacchettare il burro con gesti veloci. Burro di pura panna è scritto sulla carta. "Ottimo burro, molto richiesto, dicono tutti che è moto buono, come il nostro formaggio, poi te lo faccio assaggiare." Mi dice soddisfatto del suo lavoro.

Prendo in mano un panetto di burro, lo avvicino al naso, ottimo profumo. Mi viene voglia di spalmarlo sul pane con una confettura di mirtilli. Già, il famoso burro di affioramento di latteria, unico, per il suo profumo, per il suo colore. Prodotto simbolo, sempre venduto nelle latterie sociali a un ottimo prezzo per permettere, insieme alla vendita del latte fresco, di ottenere la liquidità necessaria per pagare le spese di gestione della struttura. Nel 1973, le latterie vendevano il latte a 24 lire al litro, il burro a 2.500 lire al chilo mentre il valore del formaggio era di circa 1.500 lire al chilogrammo e Il siero veniva valutato 7 lire al litro. E quando la latteria aveva bisogno di liquidità si scremava di più il latte, si faceva più burro e il formaggio era sempre più magro. "Anche oggi è così," mi dice Dino, il presidente "il burro ha un ottimo prezzo, e ci permette di coprire tutte le spese. Il formaggio invece viene sempre ritirato dai soci in proporzione al latte consegnato." La tradizione continua, con la produzione quotidiana di burro e di magro di latteria, una quindicina di chili di burro e dai 50 ai 60 di formaggio al giorno.

"Noi andiamo avanti così," continua il presidente "ho letto nei vecchi libri contabili che nel 1912 eravamo 60 soci, nel 1932 eravamo saliti a 86, ma nel 77 eravamo già scesi a 30. Già, un tempo i soci erano tanti, c'era un consiglio di amministrazione che si riuniva spesso. Oggi siamo rimasti in due. Per fortuna abbiamo anche due conferenti non soci e in quattro riusciamo ad arrivare a circa 7 quintali di latte al giorno."

Gli chiedo se conviene ancora, se non sarebbe più comodo e redditizio vendere il latte ai grandi caseifici. Sorride, mi guarda e mi dice convinto: "Noi andiamo bene, un litro di latte ci rende circa 50 centesimi, anche 60 se siamo bravi a vendere bene il formaggio. Poi dobbiamo calcolare anche il siero, il latticello, che nell'economia delle nostre aziende sostituisce l'acquisto di altri prodotti. Finché riusciamo a fare un formaggio come questo, non abbiamo assolutamente problemi di vendita."

 MI mostra mezza forma di formaggio. Un' occhiatura perfetta, un profumo intenso di latte, di erba . Ne taglia una fettina, me la porge. Lo assaggio e il suo gusto mi riporta al formaggio di una volta, giusta sapidità, pasta morbida, aroma delicato, piacevolissimo."

Poi mi porta in cantina. Due piani di scale, ed eccoci nel caveau della latteria. Guardo i formaggi, allineati sulle vecchie scalere di legno; Dino mi spiega come avviene la distribuzione mensile, mi mostra il numero di ogni conferente. e mentre mi parla del futuro della latteria, della necessità del  rifacimento del tetto, guarda  con soddisfazione i "suoi" formaggi, li tocca, "vedremo" mi dice "per ora andiamo avanti, noi soci siamo un po' vecchi, finché ce la facciamo..." Risaliamo le ripide scale, compro mezzo chilo di burro e un pezzetto di formaggio. "Finché ce la facciamo," penso," ma sarebbe un peccato non avere più formaggi come questo, sarebbe un peccato perdere questo pezzo di storia casearia che qui, nella contrada Bottà, ha resistito per centodieci anni.