“Basin de Sundri,” I biscotti di un umile pasticcere
Arrivo in via Don Guanella a Sondrio, parcheggio la macchina e cerco la pasticceria Michele Pompucci al n° 40, ma non ho bisogno di collegarmi a Google Maps del cellulare.
Un profumo di biscotti appena sfornati si fa sempre più intenso e mi guida davanti ad una porta ricoperta da un grande manifesto colorato raffigurante un uomo e una donna in costume di Sondrio e la grande scritta "Basin de Sundri".
Ecco sono arrivato. Dietro quella porta, nel piccolo laboratorio di 60 metri quadrati, nascono i biscotti della tradizione da un'antica ricetta, ritrovata da Vincenzo, padre di Michele. Una lunga vita da panettiere e pasticcere iniziata a 14 anni prima in via Angelo Custode e poi sotto la guida del vecchio Tavelli, della storica pasticceria di Sondrio.
"E la storia continua" mi dice Michele, "mentre spennella dei biscotti con il miele, "sono la continuazione della vita lavorativa di mio padre, del suo saper fare che ha voluto tramandarmi in questo laboratorio, lavorando insieme.
Quest'anno compio cinquant'anni molti dei quali trascorsi in questo piccolo laboratorio, fin da bambino, dove guardavo con ammirazione le mani di mio padre sporche di farina o di burro, che si muovevano agilmente, modellando gli impasti per creare i biscotti della tradizione. E adesso arrivano loro i miei figli, due bambini, Davide di quattro anni e Vincenzo di sei mesi." Vincenzino, in braccio a mamma Fatou si guarda in giro. Due grandi occhi neri curiosi che guardano il papà muovere il pennello denso di miele. Sicuramente la terza generazione di un'attività che Michele ha voluto portare avanti, con fatica, con umiltà cercando nuovi prodotti sempre nel rispetto della tradizione e soprattutto nel rispetto degli insegnamenti di papà Vincenzo.
E così nascono i prodotti, i sacchetti colorati dei biscotti di Michele. Ogni prodotto una storia legata alla sua vita, alle persone che l'hanno aiutato, che ha amato. Ogni prodotto un nome in dialetto per rispettare un territorio dove è cresciuto e che ha sempre amato. Quel territorio dove ricerca gli ingredienti base del suoi biscotti, le uova, la farina di segale, la frutta secca, il burro, la grappa… "perché la qualità degli ingredienti utilizzati vale il 50% della bontà del biscotti prodotti, l'altro cinquanta nasce dal savoir faire , dalla passione."
Mi mostra il sacchetto dei suoi biscotti più richiesti, gli ormai famosi Basin de Sundri, quelli che ha brevettato nel 2005, la vecchia ricetta di 100 anni riportata su vecchi quaderni ormai ingialliti di papà Vincenzo, custoditi gelosamente da Michele. Ingredienti del territorio, gli stessi utilizzati per il panun: farina di segale, farina bianca, noci, fichi, uvetta, miele e grappa. Ricetta imitata da altri, senza mai riuscire ad avere lo stesso risultato.
"Per valorizzare al meglio il prodotto ho cercato anche un'immagine che potesse richiamare la tradizione di Sondrio. Cercando in biblioteca mi ha colpito la copertina di un libretto, "Guida illustrata di Sondrio e dintorni" pubblicato nel 1897. Era un disegno che rappresentava due figure, maschio e femmina, con i vestiti tipici di Sondrio fuori dalla Collegiata. Un' immagine che si identificava perfettamente con quello che cercavo. Mancava il nome e mi piaceva dare un nome particolare ed ecco l'idea: baci di Sondrio, Basin de Sundri sempre per rispettare e valorizzare il nostro dialetto. Le prime confezioni uscirono anche in un'elegante scatola in metallo che poi ho preferito abbandonare per il costo eccessivo. Così quelli che noi chiamavamo Biscotti della Valtellina riescono ad incuriosire soprattutto i turisti e lentamente diventano il prodotto più richiesto della nostra pasticceria."
Poi inizia a raccontarmi le altre sue creature. Prende da un cartone un sacchetto di Giazzà e inizia a parlarmi della nonna deceduta nel 2017
Nonna Jole, cresciuta nell' antica frazione di Scarpatetti di Sondrio, una grande lavoratrice, che alternava il suo lavoro al cotonificio Fossati con diverse ore dedicata alle pulizie del laboratorio Pompucci. E al dialetto di Scarpatetti e a nonna Jole Michele ha dedicato i suoi savoiardi chiamandoli Giazzà, da ghiaccio, giazz. "Un omaggio a mia nonna che quei biscotti li ha sempre chiamati così, perché finita la cottura in superficie si forma una specie di brina. Sono ottimi biscotti, semplici fatti solo da tre ingredienti: farina, uova e zucchero. Ma per farli così occorre montare l'uovo e lo zucchero per un'ora per incorporare bene l'aria nell'impasto. E poi in ultimo la farina lentamente per non smontare quello realizzato."
Si sposta, mi mostra un altro sacchetto. "Questo è un biscotto per ricordare la mia esperienza di alpino Bumbeti de l'alpìn, sempre la solita base d'impasto, con l'aggiunta di grappa e di pezzetti di cioccolato."
Altri prodotti, altri sacchetti colorati, sempre nomi in dialetto: biscott al lacc, biscot de l'ava, biscutìn al lac` de cavra, Biscutìn a li castègni , Biscutìn a li nisciöli, Biscutìn nùs e mél , i biscottini al miele. Già il miele, un ingrediente usato spesso da Michele, e anche qui un prodotto per ricordare qualcuno, il suo bisnonno che spediva al figlio prigioniero in Germania pacchi con viveri. Non sempre i pacchi di alimenti arrivavano a destinazione ma quando il figlio riusciva ad averli, trovava sempre nel pacco anche un vasetto di burro protetto da uno spesso strato di miele che ne permetteva la conservazione per moto tempo.
Ecco la bisciola, anzi il Panun rustico, come Michele preferisce chiamarlo, un prodotto veramente tradizionale senza burro e grassi aggiunti, il panun tradizionale che veniva fatto una volta. Senza burro ma con un'alta percentuale di frutta secca.
La nostra chiacchierata finisce qui, mi giro, guardo il piccolo laboratorio che ormai si è quasi riempito di carrelli con teglie di biscotti uscite dal forno. Guardo le attrezzature, non nuove, ma perfettamente funzionanti, ancora quelle che usava il papà Vincenzo. Ordine e pulizia regnano ovunque. Sicuramente il ridotto spazio obbliga Michele e i suoi collaboratori ad un lavoro perfettamente programmato ma anche a tante ore di lavoro, a una maggior fatica. Ma Michele non si lamenta, le 12 ore di lavoro quotidiane non lo hanno mai spaventato, anzi sono state uno stimolo a lavorare sempre meglio.
La domanda d'obbligo. "Programmi per il futuro?" chiedo.
Mi guarda, poi il suo sguardo si ferma sul piccolo Vincenzino che si è addormentato nel passeggino.
"Futuro? Continuare così, sperando che un giorno i miei figli possano imparare quello che io ho appreso da mio padre. Continuare così', usando ingredienti buoni, legati al territorio, alle tradizioni, lavorando piano, con cura, con umiltà, senza voglia di protagonismo… come mi ha sempre insegnato mio padre."