Ti racconto i muretti a secco della Valtellina

01.12.2019


Stiamo viaggiando sulla mia auto, da Tirano verso Morbegno. Mi guarda con i suoi occhi verdi con curiosità, con interesse dopo aver osservato a lungo i terrazzamenti che appaiono sulla nostra destra. Diciassette anni, quarto anno del liceo classico a Milano. Abbassa la musica della radio e mi dice:

"Nonno, ho letto in questi giorni che i muretti a secco della Valtellina sono diventati patrimonio dell'umanità."

La interrompo.

"Non è esatto. Non sono i muretti, ma l'arte nel realizzarli."

" Cioè?"

"I beni culturali Unesco si dividono in beni materiali e in beni immateriali. Materiali quando sono fisicamente tangibili, esempio il trenino Rosso del Bernina o le incisioni rupestri della Valcamonica. Immateriali quando non sono fisicamente tangibili, come una lingua o dialetto, una manifestazione folkloristica o anche una ricetta. La pizza per esempio. È l'arte del pizzaiolo napoletano che è diventato patrimonio dell'Umanità, non la pizza. "

"E i muretti a secco?"

"Anche. Non sono i muretti a secco a diventare patrimonio dell'umanità, ma l'arte nel costruirli. Sono patrimonio immateriale. I muretti sono così, perché c'è qualcuno che li ha costruiti con quell'arte. E l'Unesco ha voluto riconoscere questo ingente lavoro, ma soprattutto la capacità, l'arte di realizzarli."

"Però noi vediamo i muretti, i turisti verranno per vedere i muretti."

"Certo e sarà sicuramente una grande occasione per promuovere iniziative per valorizzare il nostro territorio, la nostra enogastronomia, soprattutto i vini che nascono dai muretti. Ma sarà importante raccontare la storia, spiegare ai turisti come sono fatti i muretti e soprattutto fare in modo che questo saper fare venga trasmesso alle nuove generazioni, che non si perda, che non venga dimenticato, perché è patrimonio storico, perché sono stati i nostri antenati, perché rappresenta un'antica tradizione. Perché ogni movimento nell'appoggiare un sasso sopra l'altro incastrandolo tra gli altri è un pezzo di storia, è una storia di sudore, di fatica di uomini che hanno vissuto nella nostra valle. Guarda come sono belli." Dico indicando alcuni muretti che essendo dicembre, per la mancanza di vegetazione fogliare, sono ancora più visibili.

"È vero. Uno spettacolo."

"Sai quanti chilometri di muretti a secco ci sono in Valtellina?"

"Non so, da Morbegno a Tirano ci sono circa 50 chilometri ... "

"Quindi?"

"150, 200."

"Devi pensare di mettere in fila tutti i muretti di ogni terrazzamento, uno dopo l'altro e arriviamo a?"

"500?"

"No, molti di più, anzi moltissimi di più. In Valtellina c'è l'area vitata di montagna più estesa di tutta Europa ed è composta da terrazzamenti sorretti da 2.500 chilometri di muretti in sasso costruiti a secco."

"Tutti a secco?"

"Sì, tutti a secco. Una costruzione laboriosa, un lunghissimo lavoro fatto tanto tempo fa da uomini pazienti, tenaci che adagio adagio sasso sopra sasso, con un preciso lavoro di incastro, senza l'uso di calce e cemento, solo con un po' di terra, sono riusciti a realizzare un capolavoro architettonico inusuale. Uomini e donne che hanno recuperato materiale pietroso da quello esistente sul posto, derivante da frane, da vecchi muri, ma anche ricavandolo dalla roccia riuscendo a costruire muri che, pur con una doverosa manutenzione, hanno retto all'usura di secoli di storia."

Mi fermo alcuni secondi, guardo mia nipote per vedere se le mie parole sono seguite con interesse e riprendo.

"Un lavoro certosino che ha permesso di creare degli spazi tra la roccia e la nuova costruzione, riempiti poi con terra da riporto che uomini e donne hanno trasportato con enorme fatica dal fondovalle a spalla o con i muli. Avevano capito che l'unico modo per poter coltivare in certe zone era costruire dei contenitori, riempirli di terra fertile e formare così delle piccole superfici leggermente inclinate. Ma i muri avevano anche la funzione di evitare lo scorrimento incontrollato delle acque, trattenere le acque in caso di siccità e permettere il deflusso attraverso il filtro derivante dalla costruzione a secco, il tutto anche per creare le condizioni più idonee ad evitare frane. Queste grandiose costruzioni hanno poi permesso di creare un microclima particolare dove il calore del giorno accumulato dai muretti viene rilasciato gradualmente durante la notte."

"In che periodo siamo?"

"Bella domanda. Sembrerebbe che i primi a coltivare la vite in Valtellina siano stati i romani. Quindi?"

"I Romani raggiunsero Como nel 196 a. C., ma conquistarono le Alpi solo due secoli dopo."

"Brava, ma la vite fu forse introdotta anche prima, con i liguri ed etruschi che formarono i primi insediamenti urbani nella valle. Quindi?"

"Età del ferro, se non ricordo male gli etruschi si insediarono sulle Alpi centrali nel 500 a.C. e i liguri ancor prima."

"Sempre più brava. Sembrerebbe anche che furono i liguri, conoscitori della coltura della vite a costruire i primi terrazzamenti che in realtà sono molto simili a quelli dei famosi vigneti delle Cinque Terre. La costruzione dei terrazzamenti è però più recente. Iniziò nel Medioevo, ma la diffusione sul versante retico è successiva al 1500, con un grande impulso quando i Grigioni si impossessarono della Valtellina. Anno?"

"Dal 1512 al 1779. Giusto professore?" Ride, lo guarda e gli accarezza la mano che in quel momento è posizionata sul cambio e continua, "una bella storia che andrebbe raccontata a tutti i giovani valtellinesi."

"Certo. Tutti dovrebbero sapere la storia dei nostri muretti anche per saperla raccontare ai turisti che quando attraverseranno la valle potranno alzare gli occhi verso le Alpi retiche e lasciarsi prendere dal fascino dei secoli di storia e tradizione che c è dietro ogni muretto."

"Fascino, ma anche sudore e fatica dei nostri antenati che hanno costruito questo gigantesco vigneto."

"Sì, ma ci sono diversi motivi che giustificano l'immane fatica, la caparbietà ..." rispondo alzando il volume dello stero come per chiudere il discorso.

Federica mi guarda, rigira la manopola, "No, dai raccontami, mi interessa tantissimo quello che dici." 

"Ok, dicevo, diversi motivi. Primo perché nel periodo invernale non avevano molto da fare e quindi cercavano sempre qualche lavoro che potesse aumentare la superficie coltivabile. Ma poi devi sapere che i contadini non erano padroni dei loro terreni.

I terreni e boschi erano tutti in mano a poche famiglie aristocratiche o a enti religiosi ed erano dati ai contadini attraverso un contratto d'affitto di durata indeterminata, con pagamento in natura. Il canone d'affitto non era però rapportato al valore del fondo. Così se il contadino riusciva ad aumentare la produttività attraverso il miglioramento del fondo, il contratto non cambiava e la maggiore produttività era interamente goduta dal conduttore. Questo portò a lavori impegnativi proprio sui terreni più inospitali, ripidi pendii, quelli più impervi, che grazie a onerosi lavori di terrazzamento diventarono coltivabili ed aumentarono notevolmente di valore. Se poi il rapporto d'affitto veniva chiuso al conduttore era riconosciuto e monetizzato il miglioramento fondiario attuato. Adesso però ti lascio ascoltare la tua musica." 

E con un movimento deciso alzo il volume dello stereo.

Federica guarda dal finestrino, la testa girata verso i terrazzamenti che ormai si fanno sempre più erti. In alcuni casi sembrano attaccati alla roccia. Un grande spettacolo che Federica guarda con occhi diversi, più attenti, ben aperti sul capolavoro architettonico creato nei secoli passati. Un fascino paesaggistico che non aveva mai notato nella sua completezza, nei particolari che adesso vede e ne sente il profumo di storia, di tradizioni, di fatica.