Lassù, dove la pietra ollare racconta storie di tradizione e passione
Tutto comincia lassù, a quota 1.650 metri, all'Alpe Pirlo, in alta Valmalenco, dove la famiglia Gaggi continua a perpetuare l'antica arte dell'estrazione e della lavorazione della pietra ollare, custodita con cura nelle mani di abili artigiani.
400 anni di storia
"I primi documenti ritrovati", mi racconta Alberto, "parlano del 1737, ma sicuramente gli anni sono molti di più, circa quattrocento. Oggi, grazie soprattutto a mio figlio Pietro, che ha deciso di continuare l'attività di famiglia, il nostro lavoro prosegue. Una cava unica, sottoterra, un importante filone scoperto da mio nonno alla fine dell'Ottocento, che abbiamo subito iniziato a sfruttare e che ancora oggi ci fornisce circa quaranta quintali di materiale all'anno, l'ideale per la nostra produzione."
Una famiglia unita dalla tradizione e dall'amore per un mestiere antico, anche se ancora faticoso. Due fratelli: Alberto, classe 1945, maestro della cava e del tornio, con 65 anni di esperienza nel laboratorio di Chiesa, e Silvio, classe 1939, incisore a mano libera, l'artista. Pietro, classe 1985, è il cavatore e tornitore, portatore di innovazione e ricerca. E poi c'è Noi, la mamma di Pietro, sempre pronta a rispondere alle necessità, in particolare dedicandosi alla cerchiatura dei lavec. Infine Michelle, 28 anni, collaboratrice entusiasta, desiderosa di imparare, con il suo sorriso davanti al tornio e la voglia di inventare qualcosa di nuovo.
Due tipi di pietra ollare
"La pietra ollare", mi racconta Pietro, "è un serpentino con due tipologie minerali diverse: il talcoscisto e il cloritoscisto, che si distinguono per struttura cristallina, lamellare o granulare, durezza e colore. La prima ha un colore bianco-grigiastro, con il talco come componente principale, ed è abbondante lungo tutto l'arco alpino italiano. Noi estraiamo il cloritoscisto, in cui prevale la clorite, che conferisce il tipico colore verde. È molto più pregiato e raro in natura, e abbiamo la fortuna di averlo proprio in Valmalenco: la pietra ollare verde del Pirlo, la varietà più bella e sana che continuiamo a estrarre dall'unico filone che attraversa la località 'UI', a quota 1.650 metri."
La lavorazione della pietra ollare è un'arte che richiede pazienza e passione. Ogni passaggio, dal taglio del blocco alla cerchiatura finale, è eseguito con una precisione quasi rituale. Gli attrezzi tradizionali sembrano estensioni delle mani degli artigiani, capaci di cogliere ogni sfumatura della pietra. "È come se la pietra stessa ci guidasse," spiega Alberto "ci dice dove tagliare, come modellare. E noi dobbiamo solo ascoltarla."
Alberto mi mostra i pezzi grezzi presenti nel laboratorio e mi racconta gli attrezzi, "i ferri a elle, a uncino" usati per la preparazione del lavec.
La tradizione continua con la passione di Pietro
Pietro ascolta. Suo padre è stato il suo grande maestro. Dopo la terza media e diverse esperienze lavorative come cuoco, cameriere, carrozziere, bracciante agricolo, e lavori a tempo indeterminato anche in Svizzera, Pietro, a diciotto anni, ha deciso di tornare nella sua Valmalenco dove è cresciuto e di dedicarsi al laboratorio del padre e alla cava del Pirlo. "Mi sono sentito quasi in dovere di occuparmi di un'azienda secolare che, vista l'età di mio padre, avrebbe lentamente chiuso. Così mio padre è diventato il mio maestro, il professore delle superiori che non ho avuto. Ho appreso competenze e abilità qui nel laboratorio e in cava, e sono felicissimo della scelta. È bello poter offrire al cliente un vero prodotto del territorio, che parte da una materia prima locale e si trasforma. I clienti apprezzano, capiscono, chiedono e raccontano agli amici. Il passaparola è il nostro strumento commerciale più importante. Per noi è fondamentale la trasparenza: far vedere e raccontare cosa facciamo. Chi acquista prodotti artigianali a un prezzo elevato deve sapere tutto il lavoro che c'è dietro. Si porta a casa un pezzo unico."
Poi Pietro mi parla della cava, il suo regno, e del lungo lavoro che si svolge lassù a 1.650 metri. "A differenza di altre cave presenti sul territorio, la nostra è diversa, unica perché è sotterranea. Un lavoro diverso, bisogna scendere lungo una galleria di 500 metri per raggiungere la vena. Il primo lavoro consiste nel capire quale pietra tagliare, rispettando la struttura e le colonne portanti. Poi si inizia a tagliare la pietra dalla parete, usando dischi diamantati con acqua per evitare la polvere. Una volta tagliata, mettiamo in sicurezza l'area rimuovendo le parti pericolanti. Quando i blocchi sono a terra, li carichiamo e li portiamo all'esterno lungo un cunicolo con una pendenza di 45°, utilizzando un vecchio cingolato del 1965, un mezzo storico trasportato in cava con l'elicottero. È insostituibile, perché non esistono macchinari migliori per questo tipo di trasporto."
Dal buio alla luce
"Generalmente sono io a guidare questo mezzo," continua Pietro "e provo grandissima soddisfazione nel portare alla luce il mio bottino. All'esterno poi si inizia a tagliare per creare i pezzi da portare in laboratorio. Anche questo è un lavoro complesso, che richiede tecnica e conoscenza delle venature per tagliare nella giusta direzione. Quando i pezzi sono pronti, già in parte sagomati per il loro possibile utilizzo, li portiamo nel nostro laboratorio. Da qui inizia la lavorazione più delicata: le mani sono lo strumento principale. Questa lavorazione non può essere automatizzata. La pietra è duttile e malleabile, va sentita con la mano. Ci vogliono tempo e dedizione per conoscerne la compattezza, l'odore e il comportamento."
Ci spostiamo in un locale dove sono esposti i principali prodotti dell'azienda. Seduta su una sedia, la madre di Pietro sta cerchiando un piccolo lavec. È affascinante osservare le sue mani esperte mentre picchiettano con precisione un piccolo martello sul nastro di rame che avvolge il lavec. Ormai è un'artigiana di una tradizione che non le apparteneva, ma che ha fatto sua, lasciandosi conquistare. La sua dedizione e l'amore per il lavoro traspaiono da ogni gesto.
Tradizione, territorio e innovazione
Ogni tanto si ferma, si alza e controlla le costine che stanno cuocendo nel lavec sopra una stufa economica. Mi avvicino e guardo: ricordi della mia adolescenza, minestroni dal sapore profondo, castagne caramellate che evocano storie di stufe accese e serate invernali.
Anche Pietro osserva: "Il lavec è sicuramente il nostro prodotto principale," racconta, "ma negli ultimi anni stiamo cercando di differenziarci. Oltre agli oggetti di arredamento, come vasi, bomboniere, piatti, schegge e centrotavola decorati artisticamente con incisioni in graffito a basso o alto rilievo, proponiamo anche un'ampia gamma di oggettistica varia. Inoltre, puntiamo molto sulla ristorazione, con piatti, bicchieri, tazzine, posate e i 'seaux à glace'."
Questi non solo mantengono fresca la bottiglia, ma la valorizzano, avvolgendola nel portabottiglia di pietra. La pietra ollare è un materiale che conserva le basse temperature a lungo. Per utilizzare gli scarti, produciamo anche cubetti di pietra ollare che sostituiscono il ghiaccio nei cocktail, mantenendo freschi i drink senza diluirli, senza alterarne il sapore (il ghiaccio nello sciogliersi allungherebbe la bevanda). Lavoriamo anche per l'Apostolato Liturgico di Cinisello Balsamo, realizzando calici, portacandele, patene e tabernacoli. Crediamo che un po' di innovazione sia importante per migliorarci sempre, pur restando legati alla tradizione e al territorio."
Chiedo a Pietro quale sia la caratteristica fondamentale della sua pietra. Mi guarda, sorride e risponde senza esitazione: "La resistenza. Cerchiamo di dare ai nostri prodotti una vita eterna. Vogliamo che durino anni, che non siano tossici, che siano apprezzati per quelle peculiarità che solo il cloritoscisto possiede. Invitiamo i consumatori a verificare queste caratteristiche sul posto, a scoprire che i nostri prodotti derivano da una pietra del territorio della Valmalenco, estratta proprio qui."
Tradizione e territorio. Nei manufatti della famiglia Gaggi, ogni traccia di lavorazione racconta un'emozione: la fatica della cava, la precisione del tornio. Un'attività che, grazie alle idee innovative di Pietro e Michelle, continuerà nel tempo, tramandando una cultura e celebrando la bellezza che nasce dall'incontro tra uomo e natura. Una bellezza che, come la pietra ollare, è destinata a durare nel tempo.
Per conoscere la storia del lavéc leggi: Il lavéc: la pentola della salute